Utilizzando esclusivamente delle immagini reali - ed è proprio in questo che risiede l'interesse e l'eventuale poesia del film - Herzog inventa una vicenda fantastica. Una fine del mondo, nella quale l'umanità si vedrebbe costretta dalla propria barbarie ecologica a trovare rifugio su altri pianeti della galassia.
Nulla di particolarmente inedito: se non che l'autore di un altrimenti utopico FITZCARRALDO rifiuta l'ausilio ormai velleitario di ogni effetto digitale. Usa spezzoni futuribili come le sequenze girate dagli austronauti nelle navicelle spaziali. O il trasporto, tra scafandri e mascherine antibatteriche, di aggeggi pericolosamente inquinanti. Oppure altre immagini, più legate alla natura queste, girate fra le tinte e gli echi fantastici di sommozzatori immersi sotto la crosta di un mare ghiacciato.
Tutto bello, un po' facile. Anche perché Herzog sembra voler resuscitare un Kinski filosofeggiante e ridondanti rimembranze metafisiche di KASPAR HAUSER e STROSZEK che appartengono ad un'epoca che appare ormai neolitica.